Un evento storico, accolto con prevedibile entusiasmo dagli euroscettici, che apre un periodo di trattative e negoziati bilaterali necessari a definire i nuovi rapporti commerciali e giuridici tra il Regno Unito e gli ex partner continentali. Una transizione che Boris Johnson promette di chiudere entro fine 2020 ma sulla quale gli analisti continuano a fare le previsioni più disparate.
1. Una transizione lunga 11 mesi
Nessun cambiamento epocale è atteso nel breve periodo: le persone, i beni e i servizi continueranno a muoversi liberamente, almeno fino a quando gli accordi commerciali e sulla circolazione dei cittadini verranno ridefiniti. Per tutta la durata del 2020, Londra continuerà a far parte del mercato unico e dell’unione doganale, versando il suo contributo e sottostando alle decisioni della Corte di Giustizia europea, tuttavia senza poter mettere bocca sulle decisioni che prenderanno gli altri 27 Paesi. In altre parole, il Regno Unito dovrà obbedire alle regole, senza avere voce in capitolo: un ruolo da rule-taker ma non da rule-maker. I 73 europarlamentari del Regno Unito, tra cui il noto leader del Brexit Party, Nigel Farage, hanno lasciato il Parlamento Europeo intonando Auld Lang Syne, il canto dell’addio scozzese. Un’uscita senza dubbio spettacolare e fortemente simbolica, diventata subito virale nel web.
Allo stesso modo, da questo momento Londra è esclusa dai vertici del consiglio dell’UE, ovvero le riunioni periodiche tenute dai suoi membri. Se il Primo Ministro Boris Johnson vorrà partecipare ai futuri vertici, dovrà ricevere un invito speciale dagli altri leader dell’UE.
2. UE E UK: tempo di negoziare
Entro il 31 dicembre 2020 Regno Unito e Unione Europea dovranno accordarsi su una serie di punti estremamente rilevanti: dai possibili dazi da applicare su prodotti e merci, ai rapporti che intercorreranno tra aziende e istituzioni, passando per temi più generali come sicurezza, privacy e condivisione di informazioni, brevetti, farmaci, aiuti di Stato, forniture di gas ed elettricità, diritto di pesca. Un elenco molto lungo, che fa dubitare molti analisti che gli 11 mesi di transizione siano effettivamente sufficienti per risolvere ogni nodo. Dal punto di vista commerciale, la volontà dell’Unione Europea, confermata anche dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sembra essere quella di non applicare alcuna tariffa su prodotti o merci, a condizione che il Regno Unito rispetti standard ambientali simili a quelli dell’Unione Europea e rispetti le norme sui lavoratori e sugli aiuti di Stato, evitando di dare troppa libertà alle sue aziende. Il timore è che, allo scopo di favorire il rilancio dell’economia ed evitare i possibili contraccolpi della Brexit, Londra offra alle sue società condizioni impossibili da rispettare per le aziende comunitarie, ignorando le regole sulla concorrenza in vigore in Europa. Un altro tema spinoso riguarda il controllo dei confini, soprattutto per quanto riguarda la frontiera fra Repubblica d’Irlanda (appartenente all’Unione Europea) e Irlanda del Nord, parte del Regno Unito. Una questione che a Londra, Dublino e Belfast ha già causato non poche tensioni. Nell’accordo preliminare si parla di una barriera doganale nel mare d’Irlanda, ma tutto è ancora da definire.
Una volta trovata un’intesa su questi temi si comincerà a parlare anche di persone: che trattamento avranno i cittadini europei che viaggiano o vogliono vivere nel Regno Unito e viceversa? La Gran Bretagna continuerà a far partecipare i suoi studenti universitari al progetto Erasmus? La cooperazione in ambito culturale e in tema di sicurezza continueranno o subiranno contraccolpi?
3. Il fantasma del no deal
Le possibilità che Regno Unito e Unione Europea riescano ad accordarsi su tutte queste questioni entro il 31 dicembre 2020 sono davvero scarse. A peggiorare il quadro c’è anche il fatto che le trattative tra Londra e Bruxelles in realtà non cominceranno il 1°febbraio, ma si dovrà aspettare addirittura il 3 marzo, data in cui Commissione e Consiglio Ue dovranno approvare la proposta di mandato negoziale, necessaria per partire. Proprio per questi motivi, sono in molti a chiedere già da oggi che il periodo di transizione venga prorogato oltre il 31 dicembre 2020. Il problema è che un mese fa il Parlamento britannico, dominato dopo le elezioni dai conservatori, su proposta dello stesso Premier Boris Johnson ha approvato una legge che impegna Downing Street a portare a termine la Brexit entro il 31 dicembre “a qualsiasi costo”, quindi anche in caso di un ‘No Deal’.
Il discorso di Boris Johnson non fa certamente pensare ad una facile transizione: il primo ministro inglese ha sottolineato infatti che il Regno Unito non seguirà le regole dell’Unione Europea, con cui intende firmare, ha detto, un accordo di libero scambio “alla canadese”. Secondo il Premier, la questione sarà se le parti raggiungeranno un accordo “a tariffa zero, zero quote” paragonabile a quello del Canada, o più simile a quello dell’Australia, che semplicemente riduce le barriere tecniche, ma si basa in gran parte sui termini dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Johnson, che ha illustrato agli uomini d’affari e agli ambasciatori la posizione che Londra deve assumere nei colloqui con Bruxelles per definire le sue relazioni post-Brexit, ha aggiunto che il suo obiettivo è quello di evitare la proliferazione di regolamenti europei. Secondo gli analisti, il discorso di Johnson promette che le trattative tra Londra e Bruxelles saranno difficili, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione europea e la pesca, due argomenti che alcuni pensano possano turbare un eventuale accordo. Attenzione però perché c’è anche un’altra possibilità: Westminster potrebbe approvare un’altra legge, opposta a quella di dicembre, che consenta a Londra di chiedere un’estensione dei tempi. Stiamo a vedere.